Il cuore diviso tra due Paesi: la storia di Rosalia Battistel

Redazione | 29 ottobre 2025 alle 12:56 | 0 commenti

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Sono figlia di emigrati, la terza, nata in Francia il 14 febbraio 1950. Madre casalinga e padre minatore. I miei genitori hanno scelto per me il nome Rosalie.
Nel 1964, terminata la scuola, i miei genitori decisero di tornare in Italia per qualche mese di ferie e per vedere l’avanzamento dei lavori di ristrutturazione che avevano iniziato nella loro casa. Ricordo che a quel tempo non volevo andare con loro, ma essendo minorenne non avevo scelta. Avevo una strana sensazione, quando si parla di sesto senso…

Così partimmo. I miei genitori erano felicissimi di tornare nel loro paese natale. Quando arrivammo, mi appoggiai a un muretto in cemento davanti a casa e mi misi a piangere. Sentivo un vuoto, mi sentivo persa, sola, una bruttissima sensazione.
Mio padre era fragile di salute a causa della silicosi contratta in miniera e della malaria presa in Albania nella Seconda guerra mondiale. Dopo qualche mese si aggravò e non fu in grado di affrontare il viaggio di ritorno in Francia, così rimanemmo tutti in Italia.
Nella primavera del 1965 partii per la Germania, per lavorare in una gelateria italiana. Fu molto dura lasciare i miei genitori. Non conoscevo la lingua, ma cercai di adattarmi. Su un foglio scrissi le parole e i numeri principali. Una colonna in italiano e vicino la traduzione in tedesco. Lo portavo sempre con me per imparare. Non parlavo tanto bene neanche l’italiano. Non mi capivano quando pronunciavo il mio nome, Rosalie, così per semplificare mi chiamarono Rosy. Ancora non sapevo che i miei genitori mi avevano registrata in Italia con il nome Rosalia.
Ero come impietrita, piangevo tutte le sere, e aspettavo con ansia la corrispondenza dei miei genitori. All’inizio nelle lettere scrivevano sia mio padre che mia madre, poi, a ogni lettera, mio padre saltava una riga, finché non scrisse più.
La corrispondenza era sempre in calo e quelle poche lettere che arrivavano erano un colpo al cuore.

Mia madre si giustificò dicendo che mio padre era stanco, che stava lavorando, ma io sentivo che c’era qualcosa che non andava e questo mi faceva terribilmente soffrire.
Verso la metà di ottobre, finita la stagione, fui felicissima di tornare finalmente a casa, anche perché sapevo che sarei andata in Francia per accompagnare mia madre e aiutarla a fare il trasloco.
All’arrivo, prima di entrare in casa, mia madre mi prese per un braccio e mi disse: «Mi raccomando, davanti a tuo padre non piangere!». In quel momento mi crollò il mondo addosso. Entrai e lo vidi, era seduto sul bordo del letto, molto dimagrito, lui che era già magro di suo. Con il cuore in gola, lo abbracciai. Dopo un consulto e il parere favorevole del medico decidemmo di partire, io e mia madre, per preparare tutto e fare il trasloco. Prevedevamo di stare via più o meno dieci giorni. Mia sorella rimase con mio padre per accudirlo. Arrivate in Francia, mi sentii rinata, ero a casa. Purtroppo la gioia durò poco. Dopo pochi giorni dalla nostra partenza, mio padre fu ricoverato in ospedale. Mia madre chiuse tutto e tornammo in Italia. Lei volle andare direttamente in ospedale e rimase con mio padre, giorno e notte, per una settimana. Il 30 ottobre 1965 tornarono a casa insieme e quella stessa sera, alle 20:00, mio padre spirò. Aveva 53 anni.
I pochi risparmi erano stati tutti impegnati per i lavori di ristrutturazione della casa, che non erano finiti. Ma mia madre non si abbatté. Si rimboccò le maniche, con una forza incredibile. Fece il muratore, il falegname, la contadina, la sarta, la magliaia, con tanta sofferenza, rinunce e sacrifici. Anche per me non fu facile. Nata in Francia, credevo di essere una francesina. Mai avrei immaginato di venire in ferie in Italia per poi non tornare più nel paese dove avevo vissuto spensierata e felice, senza poter salutare gli amici, i compagni di scuola… Non capivo più chi ero. Avevo perso tutti i punti di riferimento. Quando arrivavano dei nostri conoscenti in vacanza dalla Francia li supplicavo in lacrime di portarmi con loro. Poi un giorno il destino mi fece un regalo. Nell’autunno del 1970 incontrai un grande uomo. Anche lui emigrato otto anni in Svizzera. Io 21 anni, lui 35. Nel 1971 ci sposammo. Un bravissimo muratore, innamorato del suo lavoro. Nel 1972 nacque la nostra prima figlia e nel 1979 il secondo figlio.

Purtroppo, nel gennaio 2016, all’età di 79 anni, mio marito ci lasciò, senza poter conoscere i suoi due ultimi nipotini e la pronipote, nata da poco.
Dopo il decesso di mio marito, nel mese di settembre 2016 tornai in Francia, nel paese dove ero stata felice e spensierata. Rivedere la casa dove avevo vissuto con mamma e papà, percorrere tutti i posti della mia adolescenza, la scuola, fu un toccasana. In quel momento, forse, riuscii a salutare il mio paese, cosa che non avevo mai fatto prima. Tornai in Italia più serena e consapevole.
Gli anni sono passati, ma il mio cuore è sempre metà francese e metà italiano. Non ne faccio una colpa ai miei genitori, ma certe decisioni pesano molto sulla sensibilità di un figlio.

Rosalia Battistel

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