Tra gli anni ’50 e ’60, con l’accattivante melodia di “Les trois cloches” in Francia si cimentarono Edith Piaf, “Les compagnons de la chanson”, Charles Aznavour, Gilbert Becaud e più tardi Mirelle Mathieu. Tradotta in “Le tre campane” e anche in “La campana del villaggio”, in Italia si cimentarono la “Schola Cantorum” e, più tardi, i “Ricchi e poveri”.
Questa celebre canzone accompagna la vita di un uomo scandita dal suono delle campane del villaggio con battiti diversi a seconda dell’evento da accompagnare. Questa citazione storico-musicale vuole ricordare non solo una nascita oppure un funerale, ma anche altri eventi collettivi che riguardano la vita del villaggio. Ad esempio, in occasione di una partenza in massa, come avvenne per il paese di Fastro nel lontano dicembre 1876, quando il parroco don Domenico Antonio Munari si mise alla testa di cinquantotto suoi parrocchiani per condurli in Brasile, la “terra promessa” alla fine di un “viaggio della speranza”: «Le campane di Fastro, Mellame e San Vito suonano a morto, mentre il gruppo discende le scale di Primolano». In quel freddo mattino il suono della campana sembrò quasi il presagio di una tragica avventura, come quella che sarebbe toccata all’intrepido parroco morto in un incidente in Brasile.
Al di là dell’esempio testè citato, quante volte le “Campane del villaggio” hanno suonato per sottolineare e accompagnare un battesimo o una cresima, un matrimonio, un giubileo, una festa della comunità, una partenza per il fronte o per l’emigrazione, un funerale? Quel suono amico è stato una sorta di filo conduttore dell’esistenza dei nostri antenati che potremmo così definire come la colonna sonora del loro destino. Infatti, nelle pagine della storia della nostra emigrazione, nei diari e nelle corrispondenze epistolari spesso troviamo il desiderio espresso di un emigrato di essere sepolto nel cimitero del proprio villaggio al suono della campana della “sua” chiesa. Per lo scomparso significa chiudere il cerchio della sua esistenza per riposare per sempre là dove era iniziata proprio quella sua esistenza. Mai, però, ci saremmo aspettati che lo stesso desiderio potesse riguardare anche noti personaggi del gran mondo le cui esequie solitamente avvengono in grandi chiese di metropoli al suono di campane frastornanti per poi essere sepolti in solenni famedi, come ad esempio a Milano, Roma e via dicendo. Di recente due di loro ci hanno consegnato una testimonianza di umanità e umiltà che, nell’atto terminale della loro vita, li ha “riconsegnati” alla comunità natale al suono di piccole campane di villaggio.
Il noto personaggio della Tv Pippo Baudo è sepolto nella tomba di famiglia di Sant’Agata di Militello (ME), Comune di 12.000 abitanti, mentre il grande stilista Giorgio Armani è sepolto nel cimitero di Rivalta, piccola frazione del Comune di Gazzola Val Trebbia (PC) che conta solo 2.000 abitanti. Entrambi hanno voluto sottrarsi alla fama del pantheon e alla curiosità morbosa dei loro estimatori. Dopo tante luci della ribalta e fragore di applausi hanno voluto solo riposare nel silenzio: «La campana del villaggio / Anche oggi suona a lui / Un riposo tanto dolce / Non lo aveva avuto mai /… Cala il vento nella valle / La campana suona ancora / Mentre il sole se ne va».
Nei piccoli cimiteri dei nostri paesi esempi come questi sono di certo la maggioranza. Probabilmente perché, proprio nel mondo dell’emigrazione, non si vuole giustamente recidere il cordone ombelicale che collega ogni uomo e ogni donna al conforto del villaggio natale.
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