Le due chiese di Longarone

Irene Savaris | 13 giugno 2025 alle 18:07 | 0 commenti

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Dove ora sorge la Chiesa Monumentale di Longarone, si trovava, fin dal XVIII secolo, una chiesa voluta dal Doge di Venezia, il quale, sollecitato dai Regolieri, aveva imposto alle famiglie che avevano sfruttato i boschi circostanti di ripagare la comunità, costruendo un luogo di culto. Le famiglie in questione svolsero l’incarico, donando il terreno, pagando la costruzione e abbellendo la chiesa con preziosi arredi.

Fu così che la nuova chiesa, nella quale fu celebrata la prima messa nel 1740, divenne il centro di riferimento religioso della zona, sostituendo la più antica chiesta di Lavazzo (Castellavazzo), che esisteva fin dal XIV secolo. Nei secoli successivi, i parrocchiani avevano provveduto ad arricchire gli arredi, e se ne ricordano l’altare maggiore in marmo chiaro, la statua della Madonna e quelle della Speranza e della Carità; gli affreschi sul soffitto e nelle pareti laterali erano stati dipinti dal pittore Pietro Pajetta; vi si trovava anche un prezioso organo Callido. Esternamente si poteva ammirare un maestoso campanile; depredato delle campane durante la Prima guerra mondiale, nel 1923 la comunità provvide a montarne di nuove. Questo patrimonio religioso e architettonico fu spazzato via dalla tragica ondata del 9 ottobre 1963, assieme ad oltre duemila parrocchiani ed al paese di Longarone. Soltanto alcuni reperti furono ritrovati e furono collocati nella nuova Chiesa Monumentale, dedicata a Santa Maria Immacolata, costruita dopo la tragedia, in seguito, tuttavia, a molte polemiche. Il progetto, commissionato all’architetto Giovanni Michelucci, non piaceva ai superstiti, i quali si opposero alla sua costruzione per una decina d’anni, finché fu approvato. La costruzione iniziò nell’ottobre 1975 e fu terminata nel novembre 1977. Ci vollero altri anni, prima che venisse consacrata, in occasione della ricorrenza del 1983. La nuova costruzione, seguiva il genere architettonico del periodo, quando molti edifici venivano costruiti in calcestruzzo armato a vista, al quale il Michelucci volle dare una colorazione bianco-rosa. Si presenta come una spirale ellittica; qualcuno disse che sembrava l’onda che aveva spazzato via Longarone, ma l’intento del Michelucci fu quello di riproporre il Calvario, coperto nella parte inferiore, scoperto in quella superiore, che porta a due anfiteatri sovrapposti, di cui uno con vista sulla Diga del Vajont. Al suo interno si trovano un battistero a forma di grembo materno e l’altare circondato da gradoni coperti da assi di legno dove possono prendere posto i fedeli. Alcune opere di artisti locali arredano l’interno: sono l’ambone, il tabernacolo e l’acquasantiera di Franco Fiabane e il dipinto del “Cristo del Vajont” di Italo Pradella. Vicino all’ingresso è stata invece posta la statua della “Madonna del Vajont”, proveniente dall’antica chiesa, e ritrovata a Fossalta di Piave il giorno dopo la tragedia; essa è mutilata, come lo è anche l’antico Crocefisso, ed è particolarmente venerata dai fedeli. Altri resti sono collocati esternamente, nel Museo delle Pietre vive, sotto le lastre di bronzo che ricordano le 1910 vittime; tra di essi vi si possono vedere anche i resti di due, delle cinque possenti campane di Longarone, provenienti dalla vecchia arcipretale.

Chissà se qualcuno ricorda ancora la filastrocca: “Din don don, le campane de Longaròn, quattro tose sul balcon, una che taja, una che fila, una che fa capei de paja, una che prega Dio e San Vì, che ghe mande an bon marì, bianco, rosso, color come un persègo fiorì. Salta fora al fante con le cavale bianche, el monta su la séla e… adìo sposèta béla!” (Versione di Sospirolo). Ora, tre campane sovrastano la chiesa, poste su una vela che funge da campanile.

Irene Savaris

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