«Non potete servire Dio e la ricchezza»: il Vangelo di Luca invita a usare i beni per la giustizia e la condivisione

Francesco D Alfonso diacono | 19 settembre 2025 alle 17:27 | 0 commenti

Tempo di lettura: 4 minuti
Condividi con un amico:

Domenica XXV – T.O. – C

21 settembre 2025
Dal Vangelo secondo Luca (16, 1-13).

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: “Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. 6Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”.


L’uso disordinato della ricchezza e la ricerca smodata del profitto sono condannati senza mezze misure in tutta la Bibbia, perché costituiscono una vera e propria forma di idolatria: porre la ricerca dei beni materiali al di sopra di Dio comporta il disprezzo della sua legge e della dignità degli altri uomini, visti solo come strumento di arricchimento e calpestati nei loro diritti.

L’affermazione di Gesù: “Non potete servire Dio e la ricchezza” è monito a respingere l’idolatria ed è insieme denuncia di ciò che guasta alla radice la vita dell’uomo. L’espressione, che nella traduzione precedente riproduceva la parola ebraica “Mammona” per indicare il denaro, è così incisiva e forte da costituire certamente una di quelle testimonianze dirette del modo di parlare di Gesù, quelle che gli esegeti chiamano “ipsissima verba”, cioè parole che devono essere state pronunciate da Gesù proprio in quel modo e che sono rimaste identiche nella memoria dei discepoli.  Tuttavia il contesto nel quale l’espressione è usata non è semplicemente di condanna dell’uso smodato della ricchezza, ma di esortazione a saper bene usare delle ricchezze, ad essere scaltri nel bene come i figli di questo mondo lo sono nel male.

Gesù racconta, infatti, la parabola dell’amministratore disonesto, il quale, accusato di corruzione nella gestione dei beni del suo padrone, prima di rendere conto del suo operato con il rischio di perdere l’incarico e di rimanere privo di risorse economiche, cerca di accaparrarsi la gratitudine dei debitori del suo padrone riducendo l’entità del loro debito attraverso la falsificazione delle carte contabili. Gesù commenta: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari, sono più scaltri dei figli della luce”. Gesù non intende con questa affermazione invitare i discepoli ad agire in modo disonesto, ma ad usare scaltrezza per guadagnarsi il Regno, anche facendo buon uso dei beni mondani, praticando l’elemosina e guadagnandosi così tra i poveri degli amici preziosi dinanzi a Dio: “Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne”.

L’uso dei beni terreni dunque non è fine a sé stesso, ma può diventare uno strumento di giustizia, di condivisione, di carità. Questo i primi cristiani lo avevano compreso bene, mettendo in comune quanto occorreva per i poveri, affinché non vi fossero disuguaglianze nella comunità. E sempre vi sono stati discepoli che hanno vissuto in modo esemplare l’invito di Gesù, rinunciando alle proprie ricchezze per sovvenire alle necessità dei bisognosi. L’esempio di Marcello Candia, un imprenditore che ha venduto l’azienda ereditata dal padre per dedicarsi alla creazione di ospedali per i lebbrosi in Brasile e alla cura degli ultimi, è parlante ancora oggi per la fecondità della sua scelta radicalmente evangelica. Al contrario, le malversazioni e le forme disoneste di accumulo sono una costante della storia umana, espressione di un disordine che nasce dal cuore dell’uomo e che genera sempre ulteriore disordine, con tutto il carico di ingiustizia e di sofferenza che esso comporta.

Oggi è considerato degno di ammirazione chi possiede molto denaro, tanto che esiste una graduatoria dei personaggi più ricchi del mondo, che da soli possono vantare bilanci superiori a quelli di singoli Stati. Non si tratta di demonizzare la ricchezza, ma di usarla per fare giustizia, perché non vi sia chi ha troppo e chi ha troppo poco o nulla. Se le disuguaglianze raggiungono livelli inaccettabili per la dignità dei poveri e degli esclusi, bisogna prendere coscienza del fatto che le strutture di ingiustizia, create e consolidate non da singoli individui soltanto, ma da veri e propri meccanismi di potere, costituiscono, come ammoniva San Giovanni Paolo II, dei peccati sociali che vanno riconosciuti e combattuti. 

Ultimi articoli pubblicati

Notizie correlate

Il ricco e Lazzaro: il rovesciamento delle sorti e l’urgenza della conversione

Non temere, piccolo gregge: a voi il Regno

Il vangelo di questa domenica invita alla vigilanza e alla fedeltà nell’attesa del ritorno del Signore, fondando la vita sulla speranza e sulla promessa del Regno. Vivere il presente con fede significa accogliere ogni giorno la presenza di Cristo.

leggi tutto

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *