Una strana sensazione

Raffaele De Rosa | 26 giugno 2025 alle 15:21 | 0 commenti

Tempo di lettura: 3 minuti
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Recentemente ho passato un fine settimana in una nota località turistica del Canton Ticino, sul Lago Maggiore, molto amata dai turisti di lingua tedesca. Per certi versi ho fatto anch’io il turista svizzero tedesco, ma in modo involontario.

Da diversi anni si parla in modo critico del turismo di massa che rovina il tessuto sociale e urbanistico di interi territori per un pugno di soldi. In Italia gli esempi negativi di Venezia, di Firenze, del Lago di Garda o di Roma sono emblematici. Centri storici spopolati per gli affitti altissimi, appartamenti trasformati in Bed & Breakfast improbabili, ristoranti e pizzerie che offrono menù su misura dell’ospite straniero che ricerca pizza, spaghetti e mandolino anche sulla gondola sotto il Ponte di Rialto, bar che offrono a prezzi proibitivi aperitivi di scarsa qualità e gelaterie che propongono decine di gusti in tutte le combinazioni per adulti e bambini di tutte le età. Tutti luoghi dove la comunicazione avviene spesso in una lingua speciale, cioè l’inglese fast-food che accomuna la maggioranza dei turisti di tutto il mondo, compresi gli anglofoni che non si capiscono perfino tra loro (per esempio l’inglese americano e quello britannico sono diversi nel lessico e nella pronuncia).

Ecco, seduto in un ristorante della località ticinese ho ascoltato questo piccolo dialogo (nella loro lingua) tra due turisti svizzero-tedeschi, marito e moglie, quarantenni e apparentemente aperti verso le cose del mondo.
Lui: «Io non capisco… quando mi trovo in Italia e provo a parlare in italiano, mi rispondono subito in inglese».
Lei: «Una volta non era così. Quando ero bambina andavo spesso in Italia e pochi là parlavano in inglese. I miei genitori si facevano capire in qualche modo con l’italiano e gli italiani erano contenti di aiutarli con la loro lingua».
Lui: «Io ho studiato un po’ di italiano a scuola, ma se parlano tutti in inglese, mi passa la voglia di usarlo. Ma qui in Svizzera… in Ticino… è diverso».

Mentre parlano, vengono interrotti dal cameriere, un frontaliere piemontese con cui avevo già fatto due chiacchiere quando è passato per servire il tavolo dove ero seduto, che gli chiede le ordinazioni usando la nostra lingua. I due lo guardano con un certo fastidio e gli parlano in dialetto svizzero-tedesco come se fosse la cosa più ovvia. Attenzione, nel Canton Ticino la lingua ufficiale è (ancora) l’italiano.
Quello che mi ha colpito è stato il totale disinteresse da parte dei turisti di sforzarsi a parlare la lingua locale. Non dico di fare discorsi filosofici sui massimi sistemi, ma almeno usare le forme più elementari di saluto o di ringraziamento non dovrebbe essere troppo difficile. E invece…

In quel ristorante praticamente tutti parlavano in tedesco anche con me e quando rispondevo nella nostra lingua, ho osservato lo sguardo sollevato dei camerieri. “Questo è uno dei nostri”, forse pensavano.
Personalmente quando vado in un Paese dove si parla un’altra lingua diversa dalla mia cerco di imparare almeno i rudimenti degli idiomi locali ed evito accuratamente di parlare l’inglese turistico. D’accordo, ci sono lingue più ostiche di altre, ma questo non giustifica l’atteggiamento arrogante dei turisti che pretendono di usare la propria lingua ovunque.

Qualcuno mi ha fatto notare che la moderna tecnologia dovrebbe aiutare a comunicare anche in lingue esotiche. I programmi di traduzione digitale sono in questo senso molto utili e qualcuno parla già apertamente dell’inutilità dell’apprendimento delle lingue straniere a scuola, visto che la cosiddetta intelligenza artificiale ci risolverebbe tutti i problemi di relazione con gli altri.

Io però mi pongo una serie di domande: che fine ha fatto la buona educazione nei rapporti umani? Sarà compensata anch’essa dagli algoritmi che ci dicono che cosa dire e fare in determinate situazioni? Ci sarà ancora spazio per il naturale buon senso?
Mah, ho una strana sensazione e non è per niente piacevole.

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