Esaltazione della Croce: il Vangelo invita a guardare a Cristo, segno di salvezza

Francesco D Alfonso diacono | 13 settembre 2025 alle 22:56 | 0 commenti

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Dal Vangelo secondo Giovanni (3,13-17)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: “Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.


La prima lettura della domenica odierna propone l’episodio degli israeliti che vengono salvati dai morsi velenosi dei serpenti durante il loro cammino nel deserto volgendo lo sguardo al serpente di bronzo che Mosè, su indicazione di Dio, ha innalzato, perché fosse un segno di salvezza. Gesù, nel brano evangelico giovanneo, si riferisce a quell’episodio per annunciare a chi lo segue che il piano di Dio sull’umanità è un piano di salvezza. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Il serpente di bronzo innalzato nel deserto è immagine del Figlio dell’uomo, che sta per essere innalzato perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

E’una parola di una chiarezza che non ammette dubbi: la salvezza è un atto di amore, il frutto di un amore senza limiti, e questo è il fondamento della speranza, della quale, in modo particolare in questo anno giubilare, siamo chiamati ad essere pellegrini e testimoni. Da parte di Gesù è l’affermazione chiara che solo attraverso di lui si giunge alla vita eterna. Lui è il dono d’amore del Padre per l’umanità. Del resto, lo diciamo nel credo, per mezzo di lui siamo stati creati, per mezzo di lui possiamo salire a Dio. Il brano di Giovanni è ridondante di vita, di speranza, di promesse. Dio non vuole perdere ciò che ha creato, per questo manda il Figlio: la sua croce sarà pegno di risurrezione e di vita: se Dio ha tanto amato il mondo, l’umanità, da dare il suo Figlio per la sua salvezza, come pensare che non faccia di tutto per strappare l’uomo al destino di morte che sembra incombere sull’umanità e donargli la vita?

Leggendo le parabole della misericordia nel Vangelo di Luca e le dichiarazioni di Gesù nel Vangelo di Giovanni sul pane della vita, siamo incoraggiati a sperare: la creazione, al cui vertice è la creatura umana, è fatta per manifestare la bontà e la sapienza del Creatore. Dio non può sprecare, lasciare che resti senza senso la vita di coloro che ha creato. Si legge nei quaderni di Paul Ricoeur , grande filosofo francese del Novecento, trovati dopo la sua morte, una ardita professione di fede e di speranza, che è un atto di abbandono fiducioso in Dio: se spero nella vita oltre la morte – scriveva Ricoeur – non è per le opere da me compiute, ma perché sento che nel momento in cui sono stato creato ho lasciato una impronta di me in Dio e so che per questo Dio non si dimenticherà di me.
Nel mondo di oggi tutto sembra congiurare contro la vita e la speranza: ma dinanzi al trionfo apparente dell’ingiustizia e dell’odio siamo invitati a guardare a colui che è stato innalzato e dal quale proviene la vittoria sul male e sulla morte.

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