“Quorum” è una parola che si sente dire spesso quando si parla di “referendum” che significa letteralmente “(convocazione) da riferire”. Il plurale sarebbe “referenda”.
Gli elettori italiani vengono chiamati ogni tanto a riferire la propria opinione con un SÌ o con un NO su questioni istituzionali e/o legislative di vario tipo. Il conseguimento del “quorum”, cioè del 50% dei votanti più uno, è comunque indispensabile per rendere valida la consultazione.
Anche “quorum” è una parola latina. Tecnicamente si tratta di un genitivo plurale del pronome latino “qui” (cioè “il quale”) e significa “dei quali”. Il “quorum” è considerato in alcuni Paesi come uno strumento legittimo per impedire a una minoranza di decidere su una maggioranza.
La Svizzera è notoriamente considerata la Patria della democrazia diretta. Gli elettori elvetici per parecchie volte all’anno vengono chiamati a esprimere la propria opinione su diversi temi a livello federale, cantonale e comunale.
La democrazia diretta è una bella cosa, ma richiede impegno e un po’ di fatica perché ci si deve informare su tutto, anche su cose tecniche per cui non ci sono adeguate competenze o che interessano a poche persone. Le autorità e gli organi di informazione mettono in ogni caso a disposizione materiale scritto in modo chiaro, con formulazioni semplificate delle domande e una lista esaustiva dei “pro” e dei “contra”.
Che senso ha, infatti, riportare lunghissimi passaggi di paragrafi scritti in una lingua tecnica e incomprensibile? Ho sempre trovato questo modo di comunicare in italiano burocratese molto irritante. Semplificare le cose non significa banalizzarle, ma richiede uno sforzo a persone che sembrano imprigionate nelle proprie strutture mentali fatte di capitoli e paragrafi chiusi in codici civili o penali inaccessibili. I cosiddetti azzeccagarbugli di manzoniana memoria continuano a perseverare indisturbati, facendo danni irreparabili su tutti i livelli. Per questo motivo ho apprezzato molto il tentativo fatto dalla redazione della nostra rivista di rendere comprensibili gli ultimi quesiti referendari italiani.
In Svizzera non esiste il “quorum” e questo significa che una minoranza di persone, cioè quella che si prende la responsabilità di andare a votare, può decidere sulla maggioranza disinteressata o disinformata. Le percentuali dei votanti elvetici sono abbastanza basse, variano da cantone a cantone e dipendono anche dai temi su cui si deve votare. Nel mio cantone chi non va a votare è sanzionato con una multa simbolica di pochi franchi. Votare è un diritto, ma è anche un dovere verso la collettività.
Nessuno si scandalizza se mediamente il 30-40% di chi ha il diritto a votare decide sugli altri che, per vari motivi, rifiutano di prendere una decisione mettendo una crocetta su un SÌ o un NO. Anche astenersi è un diritto, ma nessun politico elvetico di tutti gli schieramenti si azzarderebbe di dire “non andate a votare”. Il cittadino ha la possibilità di farlo, ma poi non si deve lamentare dei risultati.
Qualcuno potrebbe obiettare che l’Italia è una democrazia rappresentativa dove ci sono persone legittimamente elette (e pagate) per risolvere certi problemi. Però è innegabile che in passato, attraverso il voto popolare, in Italia si è potuto modificare con successo quello che i cosiddetti professionisti della politica non sono stati in grado di fare in Parlamento/Senato (per es. il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica o le leggi sul divorzio e sull’aborto).
In un referendum ci si deve schierare tra un SÌ e un NO. Decidere di non andare a votare per motivi ideologici è una scorciatoia pericolosa per il sistema democratico di una collettività. Se i cittadini si dimostrano apatici verso le proprie responsabilità nei confronti della collettività, beh… togliamo loro questo diritto, giusto?
E non ci sarebbe nemmeno bisogno di un “quorum” per farlo.


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