Dalla Svizzera scrivo ricordando mio padre, Antonio Zannantonio Sagrestan. La sua famiglia era cosi composta: suo padre Giosuè, sua madre Maria Antonia Gasperina Geroni (Tona Sagrestan), le sorelle Angela e Carla e i fratelli Giosuè e Bortolo.
Aveva quattro anni quando, dopo la disfatta di Caporetto, la sua famiglia dovette lasciare Casamazzagno e andare profuga a Villa San Giovanni (Reggio Calabria), presso lo zio Rocco, carabiniere in quel paese della Calabria, un mondo nuovo, accogliente e generoso.
Ritornò in paese nel 1919 e la vita riprese lentamente. Forte era la sofferenza al pensiero di tanta gioventù che non sarebbe più tornata. Frequentò le scuole elementari e con un permesso speciale del direttore, a tredici anni andò come garzone dal signor Giuseppe Hochrain di Campo di Trens (Bolzano). Per i ragazzi era in quegli anni aperta la porta della Pusteria, con l’offerta di lavoro presso i contadini dei masi. Sempre un partire. Rimase via dal 6 marzo 1926 al 16 febbraio 1932.
Il 4 ottobre 1932 fu chiamato a Sacile per il servizio militare, in fanteria, altro “obbedire e partire”. Fu congedato prima del tempo il 9 marzo 1934 per essere d’aiuto ai genitori.
Emigrò in Germania in una grande azienda agricola ad Halle, vicino a Lipsia, per lavorare come capo-gruppo e traduttore. Lì c’erano operai da Rimini e anche un compaesano, Giuseppe Martini Barzolai.
Tornato a casa, il 20 febbraio 1943 sposò Rita Zannantonio Vena. Avevano intenzione di ritornare in Germania, ma purtroppo il 3 marzo 1943, dopo solo undici giorni dal matrimonio, fu richiamato sotto le armi per la Seconda guerra mondiale.
Fu destinato in Grecia assieme ai tedeschi. Lì strinse amicizia con due commilitoni, uno da Costalta, Luigi Casanova Turco, l’altro, Bruno Micheluzzi, di Laste di Rocca Pietore.
All’armistizio dell’8 settembre venne arrestato e deportato dai tedeschi nel campo di concentramento di Stablack, nella Prussia Orientale, dove rimase per cinque mesi. Con gioia trovò un suo paesano, incontrato per miracolo, ma la sera stessa lui dovette partire per altre destinazioni. Venne infatti trasferito in Russia fino al ritorno in Italia il 10 ottobre 1945. In una lettera scritta alla famiglia il 9 luglio 1944 diceva di avere pazienza, «Iddio ci aiuterà per ritornare tra i nostri cari».
Nel luglio 1946 nacqui io, ma già nel 1947 dovette lasciarmi per emigrare in Svizzera.
Il dopoguerra fu un periodo molto critico per la nostra vallata e per la provincia di Belluno in generale. Le aziende agricole erano generalmente povere, male attrezzate. Poche erano le industrie e le attività artigianali. L’emigrazione era la sola possibilità per sopravvivere.
Nel febbraio 1947 decise di partire per Wil (Canton San Gallo), come garzone da un contadino. Lavorava dalle cinque e mezza del mattino fino alla sera tardi, tutti i giorni, con mezza giornata di riposo solo la domenica pomeriggio. Così erano a quei tempi i contratti di lavoro in Svizzera.
Nel 1948 ebbe la fortuna di trovare un posto di lavoro in una grande azienda agricola del Canton San Gallo. Le condizioni erano diverse rispetto a quelle precedenti: vitto e alloggio in azienda, meno ore di lavoro e paga più alta.
Mia mamma Rita lo raggiunse nel 1951 e trovò occupazione come aiuto infermiera all’ospedale psichiatrico di Wil.
Il 1 gennaio 1955 un grave incendio distrusse il fienile e le stanze dell’azienda agricola nelle quali alloggiavano gli operai. Da allora potè vivere con mia mamma in un appartamento dove rimasero fino al prepensionamento nell’autunno del 1969.
Ritornarono in Italia per godersi la loro casa in Via Crode, costruita con tanti anni di lavoro e sacrifici in Svizzera.
Si meritarono anche la medaglia d’oro quale premio per la fedeltà sempre dimostrata nelle attività svolte all’estero, seguendo in questo l’esempio di tanti emigranti del Comelico e del Bellunese.
Paolo Zannantonio Sagrestan
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