Anni di ricerche negli archivi, spulciando documenti e libri, atti di processi e diari, intrecciando vicende personali a quelle collettive: da questo delicato e difficile lavoro è nato l’ultimo libro di Toni Sirena Si fa presto a dire spia, edito da Cierre e uscito in questi giorni in libreria. Sottotitolo: Alpenvorland 1943-45, una controversa vicenda della Resistenza.
Il libro verrà presentato giovedì 27 marzo alle 17.15 in sala Bianchi a Belluno, viale Fantuzzi. Dopo i saluti, Toni Sirena dialogherà con Sonia Residori dell’Università di Padova. L’incontro è organizzato dall’Anpi, dall’Isbrec e dall’associazione Tina Merlin. Proprio in questi giorni sono stati ricordati gli ottant’anni da due stragi naziste, il Bosco delle Castagne e piazza dei Martiri.
Il libro parla di spie, ma non di quelle fasciste, dei delatori che per svariati motivi, da ideologici a economici, hanno denunciato cittadini e partigiani ai nazisti e ai fascisti. Molte di queste spie sono state passate per le armi dai partigiani stessi, anche senza processi, prima e dopo la fine della guerra. Nel libro di Sirena si parla invece di vicende ancora più terribili e dolorose: i partigiani stessi o chi li aiutava, costretti a parlare sotto tortura o sotto minaccia di fare del male alle proprie famiglie.
“Sono partito dalla vicenda di Steve Hall, militare americano, agente dell’Oss, che ha operato in provincia di Belluno a fianco delle brigate Calvi e Val Cordevole, con lo scopo di fare dei sabotaggi e altro. Venne catturato a Cortina e ucciso, dopo un mese di prigionia, nel febbraio del ’45, nonostante i tentativi di salvarlo con uno scambio tra prigionieri. Nel cercare particolari della sua storia nel Bellunese, poco noti o mai scritti, mi sono imbattuto in altre storie non conosciute di gente che ha avuto però un ruolo importante nella Resistenza, che ha sofferto patimenti indicibili o ci ha rimesso la vita”.
Chi parlava come veniva considerato dai partigiani?
“All’inizio i partigiani giudicavano come delatori chiunque parlasse, chiunque raccontasse qualcosa, anche chi parlava sotto tortura o minaccia. Poi si decise che non poteva essere questo il criterio. Già negli ultimi mesi di guerra e poi nel dopoguerra, non si consideravano spie coloro che avevano resistito almeno per 48 ore ai terribili metodi di interrogatorio delle SS: il tempo cioè perché i compagni rimasti fuori potessero mettersi in salvo”.
Questo è un libro di storia?
“Racconta con scrupolo una storia vera anche se non segue rigidamente tutti i dettami di un libro di storia in cui per ogni notizia occorre mettere nelle note dove è stata presa, da quale archivio, in quale parte dell’archivio. E non sempre ho messo i nomi veri: a volte ho usato il nome di battaglia, a volte il soprannome di famiglia. In un caso il nome è totalmente inventato, anche se tutto quello che c’è scritto in merito a questa persona è la verità, come si desume dagli archivi, dagli interrogatori dei processi dopo la guerra, dai diari. Sono passati ottant’anni, c’è il diritto all’oblio, cioè a vedere dimenticati aspetti personali di vicende dolorose o anche fatali. Inoltre talvolta seguo un registro narrativo”.
Nella lapide che al Parco Città di Bologna ricorda gli emiliani che furono uccisi dai nazi-fascisti, oltre al nome di Mario Pasi Montagna, c’è anche quello di Tell, nome di battaglia di Cesare Caramalli. Viene ucciso alla fine della guerra dagli americani, in particolare dal capitano Chappell, capo della missione Tacoma. Venne considerato una spia, ma forse non era proprio vero?
“Probabilmente qualcosa ammise sotto tortura, ma negò di aver tradito Steve Hall. Lo scrisse alla moglie in diverse lettere, dicendole che una volta tornato a casa dal campo di concentramento di Bolzano avrebbe raccontato chi davvero aveva parlato consentendo il riconoscimento dell’agente americano. Ma probabilmente Chappell venne informato male dagli stessi partigiani, Tell fu prelevato da casa sua a Caprile da tre in divisa americana e non tornò più. Il suo corpo venne trovato in Val Gardena, ucciso a colpi di pistola”.
La contessa Isabel de Obligado: tra Resistenza e relazioni pericolose
C’è un personaggio, nel libro e nella storia bellunese, davvero particolare: la contessa Isabel de Obligado, arrivata a Mareson di Zoldo nel 1942 per sfuggire alle difficoltà alimentari di Roma. Amante di Hall, tenta in ogni modo di salvarlo dopo la cattura.
“Lei era anche una cara amica di Lauer, il consigliere germanico (ma di origini austriache) di Belluno. Saputo dell’arresto di Hall a Cortina, tentò di salvarlo rivolgendosi alle sue amicizie e alle sue conoscenze. Una donna complicata, con molti agganci sia con i tedeschi che con gli alleati. Hall non viene liberato ma ucciso per ordine di August Schiffer, capo della Gestapo di Bolzano”.
Ci sono molte parti oscure, destinate a restare tali, anche dentro la Resistenza, nei rapporti tra le Brigate partigiane, nei conflitti interni, nelle strategie della guerra.
“Ci sono dei dubbi, certo, per le quali nel libro avanzo delle ipotesi, in particolare sulle azioni di Hall e della Brigata Val Cordevole a cui era legato. Alla fine, lui stesso era sfiduciato, non riusciva a portare a termine gli ordini per i quali era stato paracadutato, cioè quelli di mettere a segno dei sabotaggi. Per l’ultima missione, portare dell’esplosivo a Cortina, partì quasi da solo”.
Chi vorrà approfondire può trovare ampia documentazione anche in internet?
“Per me sono stati determinanti i documenti del Nara (National Archives and Reports Administration), con gli atti dell’inchiesta sulla morte di Hall, a cui venne tolto il segreto negli anni Novanta. Importanti anche gli atti dei processi americani, come quello a Schiffer, in cui ci sono le deposizioni di molti protagonisti e testimoni. Gli interrogatori di Schiffer, tradotti in italiano, sono anche in fotocopia nell’archivio dell’Isbrec a Belluno”.
Marcella Corrà
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